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lunedì 17 giugno 2013

Diventare agricoltori? Ecco come. La guida di Coldiretti per i 'giovani'

Un'analisi elaborata dalla Coldiretti Giovani Impresa, in occasione del G20 dei ministri del Lavoro in corso in Messico, rivela che in Italia, malgrado la crisi, sono quasi diecimila le imprese agricole nate nel primo trimestre del 2012, e che l'agricoltura è l'unico settore che non ha visto diminuire la percentuale di giovani imprenditori under 30. Dall'associazione, 10 mosse per realizzare il sogno di aprire un'azienda agricola




Ecco come diventare agricoltori in dieci mosse
1. Avere un’'idea'd’impresa intorno alla quale sviluppare un progetto di sviluppo. Avere un’idea di impresa agricola significa individuare che tipo di 'imprenditore agricolo' si vuole essere o diventare: imprenditore agricolo più 'tradizionale' (produzione in un specifico comparto) o più 'innovativo' e 'diversificato' sfruttando, a 10 anni (18 maggio 2001/2011) dalla sua introduzione, le opportunità offerte dalla legge di orientamento in agricoltura. Inoltre, avere un’idea di impresa significa valutare quali leve strategiche si intendono attivare: innovazione, vendita diretta, reti, territorio, qualità, agroenergie, agriturismo, fattoria didattica.
2. Analisi delle caratteristiche e delle potenzialità aziendali tramite l’osservazione del territorio, del mercato, dei concorrenti e delle normative vigenti. Significa analizzare, servendosi di appositi consulenti le componenti di base per avviare l’impresa agricola, una volta esplicitata l’idea.  
3. Confrontarsi con gli altri che hanno già fatto esperienze simili in Italia o in Europa per cogliere le sfumature e focalizzare al meglio le idee. 
4. Trasformare l’”idea” in un progetto di sviluppo imprenditoriale. Si tratta di determinare gli obiettivi generali del progetto, quelli specifici, i risultati attesi e le azioni e le risorse necessarie per raggiungerli. Si tratta di farsi redigere da adeguati specialisti e professionisti un business plan economico finanziario accurato e in grado di reggere al mercato e alle richieste di finanziamento pubblico e privato. 
5. Ricercare la fonte di finanziamento. Sulla base dell’idea progettuale valutare la possibile fonte di finanziamento nell’ambito delle politiche di sviluppo rurale (insediamento giovani, investimenti, qualità, pacchetto giovani). Per l’acquisto di terra verificare la possibilità di un mutuo presso Ismea nel ambito dei finanziamenti della piccola proprietà contadina.   
6. Presentare il progetto per il finanziamento pubblico. Si tratta di fare la domanda per l’accesso al finanziamento unitamente alla presentazione del Business Plan. Necessaria l’assistenza di un centro Caa e la consulenza di un professionista per la parte tecnica. Oggi questo è il punto su cui si incaglia il meccanismo di avvio di un’impresa agricola. Infatti le procedure per accedere alle risorse dei Piani di Sviluppo Rurali (Psr) specificatamente dedicate ai giovani prevedono in media 275 giorni tra l’approvazione del programma e l’uscita del bando; 248 giorni tra la fine della raccolta delle domande e i decreto di concessione del contributo (istruttoria); tra i 18 e i 24 mesi per l’erogazione del contributo.   
7. Presentare il progetto per il finanziamento privato. Numerose banche offrono condizioni vantaggiose per i giovani anche grazie ad accordi con Creditagri Italia, il primo consorzio fidi nazionale, per la ricerca delle migliorie condizioni di accesso al credito e del prodotto finanziario più adatto. Particolare attenzione va riposta nella concessione della garanzie. Si tratta di un assaggio fondamentale per “non giocarsi” il capitale fisico appena costituito o i 'risparmi' di papà.  
8. Una formazione di base in campo agricolo è importante, ma non decisiva anche perché sono numerosi i corsi di formazione professionale organizzati a livello regionale per acquisire competenze e avere la qualifica di  imprenditore agricolo dal punto di vista fiscale. Frequentarli è un modo per apprendere, ma anche per tessere una rete di rapporti con altri colleghi.  
9. Per avviare un impresa agricola non sono molti gliadempimenti necessari né i relativi costi dal punto di vista burocratico. Infatti  tre sono i passaggi fondamentali:
-  Apertura di una Partita Iva presso l’Agenzia delle Entrate.
-  Iscrizione al Registro delle imprese, sezione speciale Agricoltura, presso la competente Camera di Commercio se si prevede di realizzare un fatturato superiore ai 7000 euro/anno.
-  Iscrizione e  dichiarazione presso l’Inps. 

10. La burocrazia è un peso non solo nell’avvio, ma anche nell’esercizio dell’attività imprenditoriale. Il settore agricolo è ancora pieno di una pletora di adempimenti  quotidiani (che si allungano ad elastico a seconda della branca di attività) che tolgono all'impresa agricola 2 giorni di lavoro a settimana da distrarre dall’attività di impresa vera e propria: 100 giorni l’anno.

Spese intelligenti Compriamo insieme ?

Un gruppo di persone che acquistano all'ingrosso prodotti alimentari o di uso comune, da ridistribuire fra loro. Etica e responsabilità, le parole d’ordine dei Gruppi di Acquisto Solidale




Si mangia per vivere, o si vive per mangiare? Notoriamente, il modo in cui ci rapportiamo al cibo, e più in genere all’alimentazione, racconta molto di noi, del nostro approccio alla vita e alle relazioni interpersonali. In quest’ottica, un atteggiamento consapevole e responsabile nei confronti dei consumi si ripercuote positivamente non solo sulla qualità della nostra alimentazione, ma anche sulle condizioni ambientali. Si tratta insomma, tra le altre cose, di una forma di rispetto per le generazioni future. E’ nata così l’esperienza dei Gruppi di Acquisto Solidale (G.A.S.) in Italia: correva l’anno 1994, quando venne fondato il primo gruppo a Fidenza, quindi a Reggio Emilia e successivamente anche in altre località. 
Come spiega il dottor Michele Uva, presidente Rete G.A.S. Puglia, «Un gruppo di Acquisto Solidale è un gruppo di persone che acquistano all'ingrosso prodotti alimentari o di uso comune, da ridistribuire fra loro. Ma non è solo questo: la parola solidale differenzia un G.A.S. da un qualsiasi altro gruppo d’acquisto perché aggiunge un criterio guida nella scelta dei prodotti. La solidarietà parte all'interno del gruppo, fra i suoi membri, e si estende ai piccoli produttori che forniscono i prodotti, al rispetto dell'ambiente, ai popoli del sud del mondo». Sentirsi parte di un insieme, essere coinvolti in un processo decisionale che interessa altri, oltre il nostro nucleo familiare, ci porta a riflettere sulla concezione di utile e superfluo. Come sottolinea Michele Uva, peraltro, «nella pratica degli acquisti collettivi si risparmia, in quanto il produttore si vede assicurata una certa quantità di ordini ed è quindi disposto a fare degli sconti, è possibile saltare il livello della distribuzione e quindi risparmiare su uno degli intermediari. In questo modo prodotti come ad esempio quelli biologici possono avere un prezzo accessibile a tutti. La salute non deve essere un lusso per una élite». Gli acquisti collettivi offrono inoltre la possibilità di “emergere”  anche a molti piccoli produttori che non riescono ad accedere ai canali della grande distribuzione, in quanto questa privilegia aziende di dimensioni rilevanti.
Ma come raccontare l’importanza di far parte di un G.A.S. a tutti quelli per cui questa parola indica semplicemente una sostanza chimica? La conclusione è affidata al dottor Uva: «racconteremmo che fare la spesa non è solo un esigenza per nutrirsi ma oggi può diventare un modo per partecipare attivamente alla vita economica della propria comunità. Racconteremmo di quanto importante sia per la nostra salute sapere cosa mangiamo. Racconteremmo che è utile conoscere dove e come vengono reinvestiti i soldi che noi cittadini spendiamo. Ed infine racconterei che le relazioni umane si stanno man mano dissolvendo, lasciando spazio solo al conflitto e alla completa indifferenza verso il prossimo e la realtà che ci circonda. Quindi perché non provare a vivere in comunione con gli altri, partendo dalla spesa e dal cibo?»


sabato 15 giugno 2013

Si può morire di troppo amore ? Perché di amore non si può morire.

Di quell’amore che diventa ossessione, malattia, di quell’amore che non ha nulla a che vedere con un sentimento che dovrebbe far diventare due in uno, spesso si può morire e nella maggior parte dei casi a morire sono le donne. 




Troppo poco si è fatto e si sta facendo per cercare di limitare se non eliminare totalmente lo stillicidio che giornalmente si perpetra nei confronti delle donne che, paradossalmente, pur avendo ottenuto una parità di fatto anche se non di diritto, emancipandosi e occupando ruoli di spicco all’interno del mondo del lavoro, si ritrovano ad essere indifese e prive di ogni tutela nel luogo dove, si presume, dovrebbero essere maggiormente protette: la casa.
Qui non si sta parlando esclusivamente della violenza domestica che colpisce sia fisicamente che psicologicamente la donna ma di una violenza che ancora nel nostro ordinamento giuridico non è nemmeno considerata tale e solo da poco si è avuta una tutela giuridica sufficiente: lo stalking.
Premettiamo che non esiste una definizione giuridica di stalking: la parola inglese “to stalk” indica una serie di atteggiamenti tenuti da un individuo che affligge un'altra persona, spesso di sesso opposto, perseguitandola e ingenerando in lei stati di ansia e paura; le molestie vengono effettuate nella maggior parte dei casi non da persone sconosciute ma da coloro che hanno gravitato nella vita e nella sfera familiare della persona molestata principalmente si tratta di ex mariti, ex fidanzati che non si rassegnano alla rottura della relazione e cercano, mediante questi atteggiamenti, di ritornare ad avere un contatto seppur temporaneo con la vittima.
Attraverso molestie continue e assillanti, con scritti, sms, e-mail, lettere, biglietti, non richiesti oppure attraverso telefonate oscene, pedinamenti o atti vandalici lo stalker si insinua nella vita della vittima gradualmente, ingenerando in lei timore e paura; la violenza psicologica porta ad un peggioramento dello stile di vita e soprattutto nella convinzione che una reazione avversa nei confronti delle minacce potrebbe comportare come conseguenza un irreparabile danno nei confronti sia della vittima che nei confronti di persone a lei care molto spesso si evita di denunciare tali comportamenti molesti.
A differenza di America e Inghilterra dove questi atteggiamenti vengono puniti in modo esemplare, in Italia solo da poco tempo si è giunti all’emanazione di una norma che punisca in modo specifico questo comportamento, lasciando alle spalle una tutela vecchia e insufficiente quale quella apprestata dall’unione di due reati: quello di violenza privata e minaccia.
In effetti i comportamenti puniti dagli articoli che venivano presi come fonte di tutela potrebbero essere esaustivi per affrontare i problemi legati ad un fenomeno invasivo come questo ma allora non si capisce come mai, se il mezzo repressivo approntato dal legislatore sembrerebbe essere così adeguato, tanti episodi di questo tipo non vengono in alcun modo denunciati, come mai l’88% degli omicidi di donne il più delle volte si scopre essere stato preceduto da episodi di questo tipo che erano stati sottovalutati. Di certo il problema di fondo è stato sempre quello della inadeguatezze del mezzo se paragonato al problema da affrontare: il delitto di violenza privata come quello di minaccia prende in considerazione un soggetto indefinito un “chiunque” un fantomatico molestatore non “il” molestatore, che non sceglie a caso la propria vittima; obiettivo dello stalker è colei che ritiene essere il centro della sua vita affettiva, su cui ha convogliato il suo amore e le sue attenzioni e nei confronti della quale ha già precedentemente manifestato atteggiamenti violenti e possessivi.
Da qualche anno è stata approvata la legge che punisce in maniera puntuale gli atteggiamenti reiteratamente ossessivi e, pur non essendo ancora sufficiente, comunque qualcosa inizia a muoversi.
Quello che si sta facendo è poco rispetto alla quantità di donne che non denuncia per paura le molestie di cui è vittima ed è impostante, accanto a misure di natura repressiva, avere sostegno di carattere psicologico affinchè molte più donne riescano a liberarsi dalla paura e denuncino i loro molestatori.
Perché di amore non si può morire.

D.ssa Ferrieri Catia

Relazioni sentimentali: 3 falsi miti da sfatare

La psicologia di coppia evidenzia come, spesso, le relazioni sentimentali siano difficilmente gestibili a causa di aspettative e credenze cui involontariamente diamo adito. In questo articolo cerchiamo di sfatare 3 falsi mitii.





In amore, si sa, si rischia di prendere un sacco di abbagli, soffrendo così, più del necessario. Ecco 3 delle false credenze che rischiamo di portarci dietro inconsapevolmente e che potrebbero causarci non poche scocciature.
1° falso mito: Dare significa ricevere
Questa credenza ci dice che per ottenere più affetto e amore da un uomo o donna, si deve diventare più affettuosi e romantici per primi. Si giunge così a comprare regali speciali, dirgli “Ti amo” prima di lui o lei, cucinargli pasti straordinari e offrirgli un sacco di consigli e incoraggiamenti. Insomma si arriva a diventare un donatore, credendo che, nel tempo, lui/lei ricambierà. Ma tutto questo ci fa soltanto sentire fidanzati perfetti !
Mentre è vero che ogni rapporto è dare e avere, la verità è che gli uomini non si innamorano perché abbiamo dato loro così tante cose. Nè rimangono innamorati perché ci si è sacrificate per loro. Gli uomini si innamorano quando possono dare a una donna, quando possono rendere felice e appagare la persona che desiderano. Si innamorano quando si possono prendere cura della donna voluta, condividendo con lei le proprie emozioni. L'esperienza di dare è importante per ognuno anche se, spesso, ricevere, sembra di gran lunga preferibile. Dal punto di vista esistenziale riuscire a donare e permettere all'altro di farlo richiedono una maturità e una competenza affettiva difficili da costruire.
Consiglio n.1: Mai dare a un uomo più di quello che lui da, incluse le espressioni di affetto e incoraggiamento

2° falso mito: Essere desiderate equivale a ricevere una proposta di matrimonio
Sin dal momento in cui si inizia una relazione nella quale tutto sembra andare  a gonfie vele, ci si illude che essere esclusive in quel momento, condurrà l'uomo a sposarci quanto prima. Le cose non stanno affatto così: ben presto ci si rende conto che lui non è disposto a rinunciare alla sua libertà, al suo stato di uomo libero solo per il semplice fatto di considerarci attraenti o importanti. Vivere con questa illusione è una immancabile condanna a soffrire. Gli uomini decidono quando e come sposarsi su basi ben diverse dal trovare piacevole una donna. Voler indurre un uomo attraverso l'emotività a compiere un passo così importante è una stupidaggine. Così com'è vero che essi possono essere interessati a una donna in maniera totale, è altrettanto vero che possono rinunciarvi abbastanza facilmente quando c'è puzza di matrimonio!
Il consiglio n. 2: togliersi le fette di prosciutto dagli occhi e costruire una relazione spontanea senza aspettative matrimoniali eccessive

3° falso mito: Tacere serve a  non rovinare tutto
Molto spesso la paura di perdere la persona che si ama, induce nella tentazione di accettare le situazioni irrisolte e reprimere i propri sentimenti, illudendosi che "passerà". In realtà, ingoiare amaro, com'è tipico della donna, crea degli scompensi di coppia molto più gravi di ciò che si può immaginare. Questo non vuol dire che continuamente dobbiamo riversare sul nostro partner le nostre paure, ma che se c'è un problema è meglio affrontarlo con il dialogo che non con il silenzio o con l'accettazione. Attribuire all'uomo un falso mito di "incapace di comprendere i problemi" è uno delle difficoltà maggiormente incontrate dagli psicologi di coppia che si ritrovano a risolvere situazioni strane in cui l'uomo non era minimamente a conoscenza delle preoccupazioni della sua compagna.
Consiglio n.3: non ingoiare amaro, riversando, poi, tutto il malessere su altre questioni meno importanti e incomprensibili all’intelletto altrui

Di  Cinzia Rampino


venerdì 14 giugno 2013

Un tempo si incontrava l’amore al bar o in discoteca, oggi può succedere anche stando a casa.




Comodamente seduti sulla poltrona di casa, davanti a un computer. L’era di internet ha cambiato molte cose, prima di tutto il modo di interagire con le persone. Se grazie ai social network più famosi come Facebook, tanto per fare un nome, è possibile “arruolare” un nuovo esercito di amici virtuali, attraverso le chat si possono fare nuove conoscenze destinate a diventare, magari, importanti storie d’amore. Il binomio sentimento e tecnologia piace sempre di più e il segreto di questo successo è presto spiegato. «Innanzi tutto comunicare attraverso la chat permette una protezione dell’anonimato», premette la dottoressa Laura Duranti, sessuologa . «Proprio questo “vantaggio”, o il celarsi dietro diversi nicknames (gli pseudonimi utilizzati per farsi riconoscere in chat), rappresenta uno degli aspetti più interessanti del fenomeno. La chat consente di giocare con la propria identità, di scegliere di mostrare solo gli aspetti della personalità ritenuti più interessanti. Tutto ciò contribuisce al superamento illusorio delle barriere, soprattutto psicologiche, che frustrano la vita di relazione nella realtà. La timidezza e l’introversione vengono “scavalcate” grazie alla protezione offerta dal mezzo e la capacità di socializzare se ne avvantaggia notevolmente».
L’anonimato facilita l’apertura e il dialogo
Di solito ci si svela lentamente, solo quando si sente che si può essere compresi; l’investimento affettivo ed emozionale è possibile perché c’è distanza e quindi è un tentativo che si può fare a piccoli passi, per vedere se funziona. Vi sono precise differenze nell’approccio dei due sessi, come puntualizza la dottoressa Duranti:«Le donne chattano per fare nuove amicizie, considerando la chat un luogo di “ascolto”, dove le loro sofferenze e i loro bisogni vengono accolti in un modo veloce e “privato”, senza la necessità di esporsi realmente come avverrebbe invece nella vita reale, dove il rischio di essere ferite o rifiutate è invece sempre presente. Gli uomini, per lo più, quando dall’altra parte del monitor c’è una donna, richiedono spesso foto e numero di telefono (frequenti sono i tentativi di deviare la conversazione su argomenti esplicitamente sessuali). Queste modalità interattive favoriscono il raggiungimento di un’intimità in tempi rapidi, altrimenti irraggiungibile. Non stupisce, quindi, che oggi si assista all’esplosione del fenomeno degli “amori virtuali”».Dati alla mano, in sostanza, la relazione on line è percepita come più controllabile, rispetto a quella reale.
All’origine una grande insoddisfazione…
All’origine di questa ricerca, si cela una profonda insoddisfazione. Le “chattatrici”, a differenza degli uomini, non manifestano un grande bisogno di incontrare personalmente il compagno virtuale. Il partner in rete piace, all’inizio, per quello che dice e per come lo dice. «La comunicazione manca di tutti quegli aspetti del non verbale che danno realmente colore a ciò che si dice: gesti, tono della voce, espressioni del viso, ecc. Per sopperire a queste mancanze, si “immagina” l’altro per come lo si desidera, illudendosi che sia realmente così. L’innamorato virtuale crede quindi di sapere cosa l’altro pensa, ha la sensazione di aver saputo leggere tra le righe, di conoscere tutto della sua vita, del suo passato e del suo presente, ha la certezza di coglierne i desideri e le aspettative, pensa di saperne di più di chi gli vive accanto, ma è solo un’illusione», continua la sessuologa.
… ma la delusione è dietro l’angolo

In sostanza ci si innamora di un’idea, di un sogno, riempiendo le inevitabili caselle vuote dell’identità dell’altro con parti di sé proiettate. E il rischio è dietro l’angolo. Spesso, infatti, con l’incontro nella realtà, arriva puntuale anche la grande delusione. «La disillusione che si realizza nell’incontro reale con chi non corrisponde alle aspettative, riporta inesorabilmente alla propria irrisolta solitudine», sottolinea la dottoressa. Sul web avvengono indubbiamente “incontri”, molto più raramente “relazioni”. Un legame può consolidarsi nella realtà solo quando, e i casi sono rari, gli scambi virtuali trovano riscontro nel contatto reale tra due persone. Attenzione, ciò non significa che ci sia stato un cambiamento nelle persone con l’avvento delle chat: queste hanno solo reso possibile esternare istanze psicologiche precedentemente soffocate. Con questo potente mezzo, certe proposte diventano legittime e viene superata la comune tendenza alla repressione degli istinti. L’incontro con persone diverse dà vita a confronti e scambi culturali, nel corso dei quali si possono approfondire interessi e tematiche di ogni tipo. Le comunità virtuali presenti in Internet possono supplire all’assenza di comunità reali rendendo possibile, forse illusoriamente, il superamento della solitudine, la costruzione di appartenenze e di relazioni significative, la condivisione di interessi, valori, storie, il raggiungimento di un senso di vicinanza emotiva e di partecipazione a una collettività.

Chi è il Consulente del Lavoro? Una categoria a disposizione della società

L’attività del Consulente del Lavoro si caratterizza per l’assistenza del personale, oltre a fornire un supporto completo nelle strategie di politica aziendale. La Legge n.12 del 1979, “Norme per l’Ordinamento della professione di Consulente del lavoro” stabilisce che si può esercitare soltanto se si è iscritti nell’apposito albo nazionale. Il consulente si occupa di informare sugli adempimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale dei lavoratori



La professione per definizione è un termometro attivo sulle criticità concrete che le aziende devono affrontare nello svolgimento della loro attività.
In questo momento di crisi economica epocale per la nostra società, si moltiplicano gli sforzi della categoria, per dare assistenza alle imprese, nel tentativo, soprattutto, di mantenere in vita proprio i rapporti di lavoro. Dunque i Consulenti del Lavoro (CdL) sono al fianco delle imprese e dei lavoratori, delle famiglie e delle Istituzioni, per dare quei servizi di qualità necessari per la tutela degli interessi generali e per la crescita del Paese.
La categoria da mesi ha lanciato l’allarme sulla necessità che vengano introdotte correzioni all’attuale quadro normativo del diritto del lavoro, che contemperino sia le esigenze dell’attuale momento straordinario, che misure strutturali.
Dalla constatazione concreta di tali difficoltà, i Consulenti del Lavoro presentano proposte di riforma di alcuni istituti, che sposano sia l’intento di aggredire con forza l’attuale momento congiunturale (in particolare le proposte sugli incentivi all’occupazione ed alle stabilizzazioni), ma anche manovre strutturali quali quelle sulla riduzione del costo del lavoro, sulle modifiche al contratto di apprendistato, sulla semplificazione del Durc e delle istanze per i contratti si solidarietà ex legge n. 236/93.
Ed infine chiedono alcune modifiche alla Legge n. 92/12 (riforma Fornero), volte a recuperare quella flessibilità in entrata che alcuni istituti hanno perso (contratti a termine, partite Iva, associazioni in partecipazione, ecc). 
Saranno questi i temi che verranno trattati tra meno di 15 giorni al Festival del Lavoro, organizzata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro e dalla Fondazione Studi .
La manifestazione si svolgerà a Fiuggi dal 20 al 22 giugno 2013 che avrà come tema principale nelle sue numerose tavole rotonde il lavoro al centro dello sviluppo del Paese. Tutto ciò sarà organizzato per riportare l’attenzione dei decisori politici sui temi di stretto interesse per famiglie, aziende e lavoratori per stimolare misure condivise che facilitino la ricostruzione dei mercati ed il rilancio delle imprese italiane, cerando uno sviluppo stabile e duraturo per il Paese.
                                                                                                         

                                                                                                          CdL Francesca Piciaccia

Il Trionfo del Vintage anni 80'

I Concept Store stanno sostituendo le noiose Boutique Griffate. L'anti-moda è la moda del momento




Ormai, l'abbigliamento vintage spopola tra la gioventù radical chic , i concept store stanno sostituendo le noiose Boutique griffate. Radical chic è un'espressione  per definire gli appartenenti alla ricca borghesia  che, al fine di apparire, controcorrente,   divengono etichetta snobistica. Ovviamente si tratta di una superiorita’ soltanto ipotetica.La loro non cultura non e’ piu nobile , soltanto diversa.Il loro modo di vivere non  e’ piu ‘ libero bensi soltanto particolare .Si disdegna pertanto cio’ che viene apprezzato da una buona fetta di pubblico . La moda Radical Chic e’ pertanto l’anti moda, caratterizzata da una curata trasandatezza nel vestire. E’un qualcosa che tutti molto spesso vorrebbero indossare ma che ben poche persone riescono davvero ad indovinare.Essere Chic, sappiamo bene cos’è… un abitino nero, pulito, semplice, un tailleur delicato e femminile. Il Radical invece è tutt’altro.

È qualcosa di spontaneo, di non programmato; un ciuffo di capelli cascato per caso, la spallina di un maglione che va giù, una camicia risvoltata sulle braccia distrattamente. un look imperfetto.La tendenza quindi e’ questa: bisogna rendere meno chic e pesante quello che in partenza ci sembra assolutamente elegante (jeans, maglioncini dolcevita color crema, filo di perle, pantalone
 ,  un maglione o una t-shirt un po’ over e francesine basse decisamente non impegnative.Dunque liberate il vostro  Estro e’ sarete Glamour.


BELLA FIGHEIRA